Storia dello Yoga
I 18 canti estratti dal Bhīṣma Parva, sesto libro del vasto poema epico Mahābhārata, noti come "Il canto del Divino", costituiscono un poemetto a parte per la decisiva importanza e storica e dottrinale che essi rivestiranno nell'Induismo ortodosso.[1] Di datazione incerta, ma comunque non successiva al III-II secolo a.e.v. nella loro stesura finale, salvo ritocchi posteriori, la Bhagavadgītā è incentrata sul dialogo fra il principe Arjuna e il dio Kṛṣṇa, ottavo avatāra di Viṣṇu. Il confronto, sempre in sospeso fra toni ieratici e punte di alto lirismo, è ambientato in un campo di guerra, là dove Arjuna si ritrova a dover fronteggiare in battaglia i suoi stessi familiari. L'angoscia del combattimento e il dilemma morale lo assalgono costringendolo a fermarsi.[2] È qui che Kṛṣṇa, sul carro di Arjuna in veste di auriga, risponde ai suoi dubbi, gli espone le vie della realizzazione, e a lui si manifesta come Dio.[3]
Nella Gītā il termine yoga compare spesso, ma quasi sempre non inteso nel senso di tecnica psicofisica o visione filosofico-religiosa compiuta come in seguito sarà, bensì come condotta di vita, via o percorso verso il divino e quindi verso la liberazione. La molteplicità di questi cammini che Kṛṣṇa presenta ad Arjuna costituisce l'insieme delle vie dello Yoga così come in quest'opera esposte. Fra queste rivestono maggior importanza: il Karma Yoga, la via dell'azione sacralizzata; il Jñāna Yoga, la via della conoscenza spirituale; il Bhakti Yoga, la via dell'abbandono devozionale a Dio; il Dhyāna Yoga, la via della meditazione. Al di là delle particolarità che contraddistinguono i singoli percorsi, lo Yoga esposto in quest'opera è chiaramente teistico, e si presenta come il risultato di una vasto intento sintetico, nel quale ogni via di salvezza è considerata efficace se percorsa nel principio validante della fede.